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Il conflitto
d’interesse fra la carica di presidente del Consiglio, e l’attività di editore è palese, ma è il male minore. Attualmente ci sembra che nessuno, giornalisti, politici,
autorità, riescano ad alzare la voce contro chi possiede tre importanti
canali televisivi privati e per mezzo del suo incarico politico controlla
anche gli altri tre canali pubblici. Le piccole imprese editoriali fanno
fatica a sostenere la concorrenza. Basti leggere i commenti che arrivano
dalle pagine di Millecanali.it, la rivista specializzata di radiotv. Con Mediaset sono stati però
creati novi posti di lavoro, anche se nei più bassi livelli si accusa malcontento per le magre retribuzioni e i soliti
giornalisti malpagati: un lavoro storicamente in “nero”. Il passaggio al
digitale terrestre aiuterebbe le imprese cotruttrici a vendere nuovi
apparecchi riceventi, per i quali sono previsti anche degli incentivi statali
come per la rottamazione delle auto (ma l’Italia non ha problemi più seri?
Sapete che l’associazione stomizzati non riesce a
ottenere 1 Kg di garze per ognuno dei suoi assistiti, ed è Natale). L’Italia
negli anni ’50 ha dovuto superare gli ostacoli del sistema montuoso, per non
fare arrivare il segnale tv nelle case di almeno il 10% degli italiani,
raggiunti in questi anni soltanto dall’avvento della parabolica satellitare. Perché riconvertire i vecchi impianti terrestri? Nel terzo
mondo che parte da zero, non si pensa nemmeno alla possibilità di costruire
una rete di copertura terrestre, va tutto via satellite. Nel terzo mondo non
possono permettersi un “bene immobile” come tanti piccoli centri trasmittenti,
che senza dubbio (almeno 8.500) costituirebbero delle garanzie bancarie. Una
legge simile non può essere elaborata da chi ha tanti interessi di parte. Un
grazie a Ciampi a quanto sta facendo
per la democrazia, speriamo che alla fine la giustizia trionfi. Magari partendo dai programmi TV e cartoni animati per i nostri
ragazzi interrotti dalla pubblicità. Editoriale di
radiomagazine del periodo dicembre 03-marzo ’04. Il testo integrale del messaggio di
Ciampi Questo è
il testo integrale delle osservazioni di Ciampi sul DDL Gasparri: "Signori Parlamentari, in data
5 dicembre 2003, mi è stata inviata per la
promulgazione la legge: 'Norme di principio in materia di assetto del sistema
radiotelevisivo e della Rai Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al
Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione', approvata
dalla Camera dei Deputati il 3 aprile 2003, modificata dal Senato il 22
luglio 2003, nuovamente modificata dalla Camera dei Deputati il 2 ottobre
2003 e approvata in via definitiva dal Senato il 2 dicembre 2003. Il
relativo disegno di legge era stato presentato dal Governo alla Camera dei
Deputati il 25 settembre 2002. Successivamente, il
20 novembre 2002, era sopraggiunta la sentenza della Corte Costituzionale n.
466, che dichiarava "la illegittimità costituzionale dell'articolo 3,
comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione della Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo),
nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e
non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il
quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al
comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via
satellite o via cavo". La
data del 31 dicembre 2003 era già stata indicata, come termine per la cessazione
del regime transitorio di cui all'articolo 3,
settimo comma, della legge n. 249 del 1997, dall'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni
(Deliberazione n. 346 del 7 agosto 2001). Detto articolo 3 rinvia ai limiti fissati dal sesto comma
dell'articolo 2 della stessa legge n. 249, là dove si stabilisce che ad uno
stesso soggetto e a soggetti controllati o collegati "non possono essere
rilasciate concessioni nè autorizzazioni che consentano di irradiare più del
venti per cento rispettivamente
delle reti televisive o radiofoniche analogiche e dei programmi televisivi o
radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri,
sulla base del piano delle frequenze". La
sentenza della Corte n. 466 del 20 novembre 2002 muove dalla considerazione
della situazione di fatto allora esistente che, a suo giudizio, "non
garantisce... l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno,
che rappresenta uno degli imperativi ineludibili emergenti dalla
giurisprudenza costituzionale in materia". Nell'ultima
delle considerazioni in diritto, la Corte precisa che "la presente
decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su
frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che
potrebbe derivare dalla sviluppo della tecnica di
trasmissione digitale terreste, con conseguente aumento delle risorse
tecniche disponibili". Dalla
sentenza - i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dai Presidenti della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e
dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nelle audizioni rese
alle Commissioni riunite VII E IX della Camera dei Deputati il 10 settembre
2003 - discende pertanto, che, per poter considerare maturate le condizioni
del diverso futuro assetto derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione
digitale terrestre e, quindi, per poter giudicare superabile il limite
temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la
condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo
derivante da tale disposizione.
La legge
a me inviata si fa carico di questo problema. Le norme che disciplinano
l'aspetto sopra considerato sono contenute
nell'articolo 25, il cui primo comma stabilisce che, entro il 31 dicembre
2003, dovranno essere rese attive reti televisive digitali terrestri,
ponendo, in particolare, a carico della società concessionaria del servizio
pubblico (secondo comma) l'obbligo di predisporre impianti (blocchi di
diffusione) che consentano il raggiungimento del cinquanta per cento della
popolazione entro il 1° gennaio 2004 e del settanta per cento entro il 1°
gennaio 2005. L'articolo
25, terzo comma, stabilisce inoltre che "l'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, entro i 12 mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge
un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali
terrestri allo scopo di accertare: a) la
quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terresti; b) la
presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c)
l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli
diffusi dalle reti analogiche". Ciò
premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni in merito alla
compatibilità di talune disposizioni della legge in esame con la sentenza n.
466/2002 della Corte Costituzionale. Una
prima osservazione riguarda il temine massimo
assegnato all'Autorità per effettuare detto esame: "entro i dodici mesi
successivi al 31 dicembre 2003" (articolo 25, terzo comma). Questo lasso di tempo
- molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica - si
traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte
Costituzionale. Una
seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti alla Autorità:
questa, entro i trenta giorni successivi al completamento dell'accertamento,
invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni
parlamentari, "nella quale
verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento delle offerte
disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula
proposte di interventi diretti a favorire l'ulteriore incremento dell'offerta
dei programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso ai medesimi"
(articolo 25, terzo comma). Ne
deriva che, se l'Autorità dovesse accertare, entro
il termine assegnatole, che le suesposte condizioni (raggiungimento della
prestabilita quota di popolazione da parte delle nuove reti digitali
terresti; presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; effettiva
offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi
dalle reti analogiche) non si sono verificate, non si avrebbe alcuna
conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che
dovrebbero seguire all'eventuale esito negativo dell'accertamento. Si
consideri, inoltre, che il paragrafo 11, penultimo capoverso, delle
considerazioni in diritto della sentenza n. 466, recita: "D'altro canto,
la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all'intervento del
legislatore per determinare le modalità della
definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell'articolo
3 della legge n. 249 del 1997". Ne
consegue che il 1/o gennaio 2004 può essere considerato come il dies a quo
non di un nuovo regime transitorio, ma dell'attuazione delle predette modalità di cessazione del regime medesimo, che devono
essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003. Si rende,
inoltre, necessario indicare il dies ad quem e,
cioè, il termine di tale fase di attuazione. Tutto
ciò detto in relazione alla compatibilità delle
succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza n. 466 del 20
novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento
su altre parti della legge che - per quanto attiene al rispetto del
pluralismo dell'informazione - appaiono non in linea con la giurisprudenza
della Corte Costituzionale. Si
consideri, a tale proposito, che la sentenza della Corte Costituzionale n.
826 del 1988 poneva come un imperativo la necessità di garantire "il
massimo pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci
concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione". E ancora, nella
sentenza n. 420 del 1994, la stessa Corte sottolineava
l'indispensabilità di "un'idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni
dominanti". Nell'ambito
dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte
Costituzionale si è mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio
2003. Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema
integrato delle comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in esame come base
di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di
comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il venti per cento (articolo 15, secondo comma,
della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar
luogo alla formazione di posizioni dominanti. Quanto
al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte
Costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo principi affermati in
precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo "che la
radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della
libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa
oggetto di energica tutela". Si
rende, infine, indispensabile espungere dal testo della legge il comma 14 dell'articolo 23, che rende applicabili alla
realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto
legislativo 4 settembre 2002, numero 198, del quale la Corte Costituzionale
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con la sentenza n. 303 del 25
settembre/1.o ottobre 2003. Per la stessa ragione, va soppresso il
riferimento al predetto decreto legislativo dichiarato incostituzionale, contenuto nell'articolo 5, primo comma, lettera l) e
nell'articolo 24 terzo comma. Per i motivi
innanzi illustrati chiedo, alle Camere - a norma dell'articolo 74, primo comma,
della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me
trasmessa il 5 dicembre 2003". |